LA RESISTENZA: MITO UNIFICANTE
PER GLI ITALIANI?
MASSACRO
PARTIGIANO DI CIVILI IN VAL PELLICE
Corrado Lesca
Nella notte fra il 5 e 6 ottobre 1944, vennero affissi
in Torre Pellice alcuni manifestini ciclostilati, che riproducevano la
pag. 88 apparsa poi su IL PIONIERE giornale partigiano e progressista,
anno I, n. 15, del venerdì 6 ottobre 1944. Eccone la riproduzione
(testuale):
- Il Comando la Brigata Val Pellice
"SERGIO TOJA", dopo interpellato il Comando la IV Divisione Alpina
G.L.,
- VISTO
- che in Torre Pellice sussisteva
un centro di propaganda fascista i cui elementi collaboravano attivamente
con le truppe occupanti nell'opera di repressione dell'attività
partigiana,
- Dato che
- detto centro non aveva fin ora
mai potuto essere eliminato causa la costante presenza sul luogo di presidi
nazifascisti,
- VISTO
- che in occasione del rastrellamento
in data 28/9 e segg. I reparti operanti nemici vennero guidati con assoluta
precisione nei posti dove da poche ore si erano insediati i comandi delle
Brigate Val Pellice "SERGIO TOJA" e Val Germanasca "Guglielmo
Jervis", e che nell'azione stessa perdevano la vita per puro miracolo
(sic!) due dei nostri migliori elementi tra cui il V/Comandante
di Brigata REGIS ),
- RITENENDO
- doveroso assicurare a qualsiasi
costo la sicurezza dei suoi uomini e delle loro Famiglie, individuate e
continuamente colpite, in modo speciale in questi ultimi tempi di guerra,
nei quali la rabbia dei vinti si scatena contro i patrioti ed i loro famigliari
senza più ombra di controllo e di ritegno,
- HA ORDINATO
- l'arresto e l'esecuzione immediata
dei seguenti fascisti collaboratori del nemico:
- .............. (omissis) .............
- OLLIVERO AVV. PIERO
- MERLO ETTORE
- TROSSARELLI CARLO
- EYNARD ONORINA
- MERLO LUDOVICO
- FERRARIS ATTILIO
- MERLO CARLO
- PITTAVINO SEVERINO
- Val Pellice li 3 ottobre 1944
- CHI SEMINA RACCOGLIE
- Con una attività ora
sfacciata ora subdola hanno seminato oscurantismo, rovina, incendi, assassini,
patimenti e danni d'ogni genere. Hanno causato la lotta civile. Hanno raccolto:
la morte. Si sono illusi di po- ter sfuggire alla loro sorte con l'aiuto
dei fedeli alleati e della propria ipocrisia. Ma il popolo ha saputo individuarli
e i partigiani han saputo colpirli. Avviso a chi resta.
- Altri hanno seminato sfuttamento
(sic), collaborazione e truffa. Anche loro raccoglieranno il frutto
del loro egoismo ed opportunismo.
L'ordine soprariportato (con
la tracotante e risibile appendice finale) era stato eseguito verso le
ore 3 del 5 ottobre: le persone elencate furono prelevate nelle loro case.
Il Ferraris, proprietario dell'Albergo Nazionale ubicato all'inizio di
Via Mazzini (ora scomparso), fu ucciso nella sua abitazione, probabilmente
perché aveva tentato di reagire,. Il Pittavino, abitante a Luserna
San Giovanni, fu ucciso da un partigiano soprannominato "Stalin"
presso il cimitero di tale località, e di lui stranamente non si
parlerà più, nemmeno al processo riferentesi alla strage.
Così come nessuno si curerà di sapere chi e quanti erano
gli omissis indicati nella lista. Probabilmente queste presunte
spie erano state giudicate indegne di interesse e di troppo trascurabile
importanza per farne conoscere il nome.Le persone prelevate a Torre Pellice
furono condotte e raggruppate nel piazzaletto dove sorge il monumento all'Alpino
ed uccise con una sventagliata di mitra. Poi fu loro inferto il colpo di
grazia con una rivoltellata alla testa.
Dopodiché i partigiani
procedettero al metodico saccheggio delle abitazioni delle vittime: furono
asportati, fra l'altro, (come risulta da atti notori) i materassi, le coperte,
le lenzuola, le tovaglie, gli ombrelli (utilissimi per non bagnarsi nei
combattimenti sotto la pioggia…), le macchine da cucire, le posate, gli
indumenti degli adulti e dei bambini (dai cappelli alle calze), le cravatte,
le pellicce, gli orologi da polso, le forbici, le penne stilografiche,
i gioielli, gli specchi da parete, ed il tutto fu stipato su carri a cavallo.
Quando al mattino si provvide, grazie all'interessamento
del medico condotto Dott. Gardiol, al ricupero dei corpi ci si accorse
che l'Onorina Einard, era gravemente ferita ma ancora viva e fu quindi
trasportata d'urgenza all'Ospedale Valdese. Saputa la cosa, i partigiani
fecero una puntata all'Ospedale stesso e la freddarono in corsia.
La decisione circa la scelta delle vittime e
la loro fucilazione era stata presa collegialmente da Roberto Malan, comandante
di Divisione, Riccardo Vanzetti comandante della Brigata "Val Pellice"
, Carlo Mussa Ivaldi commissario politico della stessa Brigata e da un
certo Dino Buffa.
Le operazioni sul terreno furono effettuate da
due reparti, comandati rispettivamente dal tenente Modena e dal comandante
Giovanni Nicola, facenti parte della Brigata sopra nominata.
Il Giovanni Nicola, comandante di battaglione
della formazione partigiana "Giustizia e Libertà", al
processo dichiarò che " aveva ricevuto dal comandante Vanzetti
ordine scritto di arrestare e fucilare l'avv. Ollivero e le altre sei persone
(nell'ordine di fucilazione risultano sette, nda) e di asportare
dalle loro abitazioni tutto quanto poteva servire per i partigiani feriti
ed ammetteva di aver eseguito gli ordini aggiungendo che gli oggetti asportati
erano stati distribuiti ai vari comandi partigiani."
L'operazione del prelevamento e dell'esecuzione
in pieno paese, potè svolgersi con la massima tranquillità,
in quanto il presidio della Guardia Nazionale Repubblicana, acquartierato
nella caserma "G. Ribet", era stato richiamato a Pinerolo fin
dal 13 settembre precedente.
In questa tragica vicenda,
che oltre agli otto morti elencati fece ben altri morti (gli omissis)
e ben venticinque orfani (il solo Pittavino aveva undici figli), riappare
ancora una volta l'accusa ricorrente da parte dei partigiani per giustificare
omicidi e stupri: era una spia.
Accusa elementare e praticamente
imparabile: come poteva infatti l'accusato o l'accusata dimostrare la sua
innocenza, di fronte a quanto affermato falsamente da qualche vicino malevolo
o da qualche nemico personale o ancora immaginato da qualche comandante
partigiano, alla ricerca di azioni eroiche e senza rischi? Com'era possibile
trovare un testimone a favore, così coraggioso da affermare che
l'imputato o l'imputata "non" era una spia, con la certezza di
essere coinvolto anche lui, come favoreggiatore o complice?
Sempreché ci fosse
un qualche simulacro di processo, che nel caso in esame è mancato
del tutto. Tant'è che il P.G. nella sua requisitoria afferma che
" la procedura usata nei confronti dei giustiziati non è stata
certamente corretta, poiché si omise di contestare i fatti e di
sentire e vagliare le difese degli arrestati" e conclude: "Si
deve convenire che l'azione degli imputati fu condotta con eccessiva superficialità."
D'altra parte occorre tener
presente che l'avvocato Ollivero, ben noto professionista, ed i tre fratelli
Merlo, titolari di un mobilificio, erano impegnati con le loro attività
di lavoro e non avevano certo tempo d'andare su e giù per le montagne
per accertarsi del dislocamento di reparti partigiani. Meno che mai ci
sarebbe andato il dottor Trossarelli, pensionato sessantacinquenne. E comunque
nessuno di loro avrebbe potuto avvicinarsi a fabbricati dove erano dislocati
comandi partigiani, che si presume fossero vigilati da un congruo numero
di sentinelle, atte ad individuare ed a neutralizzare qualunque persona
sospetta.
La verità è
una sola: gli unici in grado di sapere tutto sulla ubicazione dei comandi
erano gli appartenenti alle formazioni stesse, che erano conseguentemente
gli unici a poter fornire informazioni attendibili a fascisti o tedeschi,
attirati dalle sostanziose ricompense che questi promettevano sui loro
manifesti. Con le 100.000 lire che venivano elargite, ad esempio, per la
cattura di un "capo-ribelle" , allora ci si poteva comprare un
alloggio.
Il comandante partigiano Antonio Prearo, comandante
della colonna "Val Pellice" della 5a
Divisione di "Giustizia e Libertà", nel libro autobiografico
ed agiografico "Terra ribelle", accenna ad un uomo arrestato
dai suoi partigiani, che avrebbe ricevuto addirittura 500.000 lire se fosse
riuscito ad ucciderlo ed un milione (da versare alla famiglia) se, per
realizzare questo scopo, avesse perso la vita. Ma queste cifre appaiono
veramente esagerate, tenuto conto oltretutto della secondaria importanza
del suddetto comandante (tanto che fu successivamente estromesso dal comando),
il quale ha evidentemente cercato di "rivalutarsi".
E' peraltro veramente strano
constatare che l'idea elementare ed ovvia che la spia, o le spie, si trovassero
fra gli stessi partigiani non sia venuta in mente ai comandanti e che questi,
invece di fare opportune indagini nel loro stesso ambiente, abbiano preferito
far uccidere persone assolutamente innocenti. Ma evidentemente i comandanti
non avevano nessuna intenzione di inimicarsi i loro uomini, facendoli oggetto
di sospetti o di indagini: era molto più facile rafforzare la loro
vacillante e precaria autorità scegliendo come capri espiatori civili
qualunque, del tutto estranei alle formazioni. Per di più con la
gradevole prospettiva di offrire ai propri uomini (peraltro non identificati…)
un cospicuo bottino. E senza far correre loro il minimo rischio.
La selezione delle vittime
appare basata su due caratteristiche essenziali: il fatto che fossero quasi
tutti benestanti (e quindi tali da garantire un pingue bottino) e che fossero
di religione cattolica (uniche eccezioni il Dr Trossarelli, di origine
valdese, ma con tutta la famiglia cattolica e la signora Einard), evidentemente
per non creare risentimenti nell'ambiente religioso locale. La corte giudicante
in effetti prese anche in considerazione il movente religioso del massacro,
ma naturalmente mancavano prove convincenti in proposito e l'argomento
fu lasciato cadere.
Nel gruppo, l'unica persona
di modeste condizioni era la signora Einard, che però aveva una
colpa gravissima: suo figlio si era arruolato nella G.N.R. Arrestato, probabilmente
a Pinerolo, fu poi fucilato proprio davanti alla già citata caserma
"Ribet" nei primi giorni della "Liberazione".
La figlia primogenita del
Pittavino, Teresina, nata nel 1926, dopo l'assassinio del padre, si arruolò
fra le Ausliarie. e fu uccisa anche lei dai partigiani.
Ad ogni modo, l'innocenza delle persone assassinate
a Torre Pellice è pienamente emersa nel procedimento penale seguito
alla denuncia delle vedove del dr Trossarelli e dell'avv. Ollivero, sporta
nel novembre 1949, e conclusosi con la sentenza della Sezione Istruttoria
della Corte d'Appello di Torino del 14 marzo 1951, che ammetteva la totale
estraneità delle vittime (definite però "giustiziati"
, quasi a giustificare la liceità dell'azione) ai fatti contestati
e concludeva: "Questo riconoscimento appare doveroso per riabilitare
la memoria dei giustiziati e lenire l'atroce dolore delle famiglie"
Va peraltro notato che all'epoca
i fascisti (o presunti tali) od i tedeschi uccisi dai partigiani o da terroristi
erano considerati come "giustiziati", mentre i partigiani uccisi
da tedeschi o fascisti risultavano di norma "trucidati". E questa
terminologia resistenziale sopravvive sulle epigrafi di tombe e monumenti
e sui libri che celebrano i fasti della Resistenza.
La sentenza, che riabilita
i sette civili fucilati conclude poi, in base a considerazioni alquanto
contorte, che non si è trattato di omicidio plurimo premeditato,
e riesce a derubricare il reato, riducendolo semplicemente ad omicidio
colposo e conseguentemente afferma "che i fatti addebitati nel capo
di imputazione devono considerarsi azioni di guerra (!!) ai sensi del D.L.L.
12 aprile 1945 (notare la data), n. 191 e pertanto dichiara gli
imputati non punibili "
A titolo di opportuno raffronto, si tenga presente
che il Maggiore Herbert Kappler, implicato nella rappresaglia per l'attentato
di Via Rasella, peraltro consentita dal diritto consuetudinario del tempo
di guerra, fu dichiarato responsabile della morte di 5 ostaggi in più,
immessi dagli italiani, ovviamente a sua insaputa, nella lista dei fucilandi
(10 per ogni tedesco ucciso – in realtà i tedeschi uccisi risultarono
ben 42 e non solo i 33 iniziali, per cui i fucilati avrebbero dovuto in
realtà risultare 420), e per questo condannato all'ergastolo (oltre
a quattro anni di segregazione, trascorsi a Gaeta in una cella scavata
nella roccia) ed escluso nei decenni successivi, con disumano accanimento,
da qualunque forma di amnistia o di grazia.
Va la pena di ricordare che all'ergastolo, sempre
per la rappresaglia di Via Rasella, sono stati anche tardivamente condannati
il 7 marzo 1998 l'allora Capitano Erich Priebke (assolto peraltro nel processo
di primo grado, il 1° agosto 1996) e l'allora Maggiore Karl Hass.
Per quanto riguarda i saccheggi,
la sentenza sostiene che " è appena da osservare che le requisizioni
(?!) ordinate dal Comando partigiano rientrano espressamente nel
concetto di azioni di guerra (?!), mentre di quanto può esser
stato asportato dai singoli partigiani, non identificati (?!), fuori
dai limiti degli ordini ricevuti, non possono essere chiamati a rispondere
gli attuali imputati".
Che i comandanti non sapessero
chi erano i loro sottoposti, ai quali avevano pure ordinato di fucilare
e di razziare, e che non siano stati tenuti responsabili delle azioni da
questi compiute, è cosa che lascia veramente interdetti e che comunque
dà una ben chiara idea dell'indisciplina e dello stato d'insubordinazione
latente che regnava nelle formazioni partigiane.
Così come appare sconcertante
la derubricazione dell'omicidio plurimo premeditato ad omicidio colposo
e quindi amnistiabile, in base all'articolo unico del sopra citato Decreto
legge luogotenenziale, secondo il quale "sono considerate azioni di
guerra e pertanto non punibili gli atti di sabotaggio, le requisizioni
e ogni altra operazione compiuta dai patrioti per necessità
di lotta contro i tedeschi ed i fascisti nel periodo dell'occupazione nemica".
Secondo quanto è scritto nella sentenza " Non pare dubbio,
in linea di principio, che la eliminazione di spie rientri nel concetto
di operazione compiuta per necessità di lotta ". Peccato che,
com'è emerso dal processo, non vi fosse nessuna seria prova che
permettesse di considerare le persone assassinate come spie al servizio
del nemico, ma esistessero in realtà solo vaghe dicerie propalate
da persone malevole od invidiose.
Secondo l'affermazione del
Malan, riportata in sentenza, " in sede di comando era stato deciso
di processarli (i fucilati, nda) ma che essendosi verificate delle
puntate nemiche estremamente precise contro le sedi di alcuni reparti,
il Vanzetti aveva riunito il Tribunale militare che aveva sentenziato l'immediata
fucilazione."
In effetti, il 6 settembre
un modesto contingente di Gebirgsjäger , trasportato da un autobus
civile in affitto (con un cannoncino da montagna da 75/13 a rimorchio,
assicurato con corde), era salito a Bobbio e poi a Villanova per stabilire
qualche caposaldo (al Prà ed al Rifugio "Granero"), a
ridosso della linea di confine. Si trattava di presidi di entità
oltremodo ridotta, in quanto la testata della Val Pellice, ancorché
confinante con la Francia, era di ben scarso interesse strategico, data
l'inesistenza di strade di valico. Il 13 settembre successivo, come già
abbiamo detto, il presidio della G.N.R aveva abbandonato Torre Pellice
(evidentemente per lasciare il posto ai Tedeschi), per cui la cittadina
e la zona circostante erano provvisoriamente in mano ai ribelli, che vi
poterono conseguentemente agire indisturbati.
Verso la fine del mese vi
furono in Val Pellice passaggi di truppe tedesche, che effettuarono rapide
puntate con pattuglioni nelle valli circostanti, per ripulirle dai partigiani
e per assicurare ile retrovie delle zone di confine, ormai passate in prima
linea.
Alcuni giorni dopo il massacro,
due compagnie di Gebirgsjäger si acquartierarono a Torre Pellice ed
agli Airali. Il piccolo presidio di Bobbio Pellice disponeva in tutto e
per tutto, quali veicoli corazzati, di due autoblinde (Sd. Kfz. 222, a
quattro ruote motrici ed armate con una mitragliera da 20 mm), che servivano
per effettuare i collegamenti con la casermetta di Villanova, con i presidi
di Torre Pellice e degli Airali e con il Comando insediato a Pinerolo.
D'altra parte alla 5a
Gebigsjäger Division "Die Gams" (Il Camoscio), a
cui appartenevano le truppe sopracitate, era stato affidato il compito
gravosissimo di attestarsi a difesa in alta montagna su una catena frastagliatissima
e dispersiva, dal Colle del Gigante (Monte Bianco) al Colle della Maddalena,
che imponeva difficili problemi logistici ed organizzativi. La predetta
Divisione era composta da circa 17.000 uomini, da quattordici autoblinde,
da 92 bocche da fuoco di piccolo e medio calibro (75 e 105 mm), oltre ai
veicoli per i trasporti e le comunicazioni. E con queste scarse truppe
la divisione è tuttavia riuscita a bloccare gli Alleati su quasi
200 km di frontiera fino alla fine della guerra.
Ad ogni modo le esigue unità
tedesche inviate in Val Pellice furono sufficienti, con la loro sola presenza,
per indurre i partigiani ad abbandonare frettolosamente la Valle, nei giorni
a cavallo dell'eccidio, il quale, proprio per questo motivo, appare ancora
meno giustificato.
La scusa, accampata dai comandanti,
di aver fatto asportare i materassi per adagiare i feriti è semplicemente
ridicola, anche se è stata presa per buona dalla Corte: allora nella
zona i montanari dormivano su pagliericci riempiti di foglie di granturco,
rumorose ma sanissime, ed i feriti (ma quanti erano?…nessuno lo ha chiesto)
non pretendevano certo materassi di crine o di lana, che oltretutto, dato
l'ingombro e la scarsa maneggevolezza, non avrebbero consentito il trasporto
su sentieri e mulattiere. E senza contare che nella zona i feriti e gli
ammalati venivano di norma ricoverati e curati nel locale e compiacente
Ospedale valdese (a questo proposito il già citato comandante Prearo
racconta che un reparto della G.N.R. salito il 17 settembre 1944 da Pinerolo,
per un rastrellamento estemporaneo, fu attaccato nei pressi all'Ospedale,
dove i militi cercarono riparo; proprio in quel giorno vi erano ricoverati
tre partigiani, che peraltro nessuno infastidì).
Di fronte a dibattimenti e
a sentenze così singolari non bisogna tuttavia dimenticare il periodo
in cui si è svolto il processo (1951) ed occorre tener presente
un dettaglio importante (che viene spesso trascurato): i giudici di allora
avevano iniziato la loro carriera sotto il Fascismo e quindi, per continuare
a farla, si guardavano bene dal pestare i piedi al nuovo regime e cercavano
ovviamente di far dimenticare i loro trascorsi, profondendo pesanti condanne
per chi aveva militato nella R.S.I. e dimostrandosi oltremodo clementi
e generosi verso gli appartenenti alla Resistenza.
Comunque, in questo caso,
grazie all'azione delle due vedove, si è almeno arrivati ad una
messa sotto accusa dei partigiani responsabili del massacro e ad una sentenza
di riabilitazione per gli uccisi.
Ma quante altre persone, durante
e dopo la guerra civile, sono state prelevate ed uccise dai partigiani,
con il facile e ricorrente pretesto di essere o di essere state spie, mentre
invece erano solo vittime di vendette o di odi personali? . E quante di
queste persone sono scomparse nel nulla, sotterrate in luoghi nascosti,
in modo da non lasciare tracce degli omicidi?
IL POPOLO D'ITALIA N. 9-10 Lugli-Agosto 2000 (Indirizzo e
telefono: vedi PERIODICI)